Ciò che hanno fatto di me le vecchie parole,
Spiccare il sole via dal midollo dell’osso
Come s’essicca un frutto del proprio liquore,
Spargere il senso assoluto d’un sasso
Al debole grido che ha scosso
Questo ordigno di sensi che è tutto un motore
Muto e cocciuto in attesa d’un suono;

Dove m’hanno condotto col loro fracasso,
Lavorando d’intarsio lungo l’abbandono
Che ho visto crescere mentre affrettavo il passo
Per tener dietro a chi restò lontano,
Ma sempre con l’eco del tuono
Per dettare nel buio che resta qui in basso
L’ombra che s’allucina il cielo al lampo;

Ciò che hanno fatto di me malgrado sapessi
Che con gli echi dispersi si forgia lo stampo
Che mantiene compatto fra sessi e decessi
Almeno un fine alla miccia del tempo,
Sebbene non resti mai scampo
Alla lenta erosione che intacca gli stessi
Semplici lacci che annodano il senso;

Dove m’hanno condotto malgrado lo scempio
Che fecero di me quando col loro incenso
Affumicarono l’unico vuoto tempio
Dove, dimesso il verbo, si fa a stento
La carne che chiede il suo censo,
Non c’è verso nemmeno per trarne un esempio
Di provare a ripeterlo in un verso.

Eppure quanta giusta inconsistenza resta
Mentre la testa impasta da ciò che s’è perso
Quel tanto di sostanza come cartapesta.
Vi si tenne la vita in quel rimorso
Andarsene via di traverso
Alla vegeta morte che ancora protesta
S’aprì una ferita che duole,
Cui non rimane chi rimi in soccorso,
Dove m’hanno condotto le vecchie parole.








immagine di Cyop&Kaf