07 | La furia della sintassi. La sestina in Italia
1987-1992
Edizione:
Napoli, Bibliopolis, 1992
La ferma voglia
Indice
Premessa
1. Invarianza e legge di variazione (da Raimbaut d’Aurenga alla canzone sestina di Dante)
2.1. Arnaut Daniel: Lo ferm voler qu’el cor m’intra
2.2. Le altre sestine provenzali
3.1. Dante: Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra
3.2. Le due sestine del libro decimo della Giuntina
4.1. Petrarca: A qualunque animale alberga in terra
4.2. Petrarca: Mia benigna fortuna e ‘l viver lieto
4.3. Le altre sestine di Petrarca
5.1. Cenni di storia della forma: dalle sestine di Franco Sacchetti alla sestina petrarchista
5.2. La temporalità nelle sestine dopo Petrarca
6. Cenni di storia della forma: dalla sestina di Niccolò Tommaseo ai giorni nostri
Bibliografia
Quarta di copertina
Il fascino esercitato dalla sestina (così come la taccia di artificiosità che tale forma si guadagnò in Italia addirittura dal XVII secolo) si deve al fatto che la monoliticità della sua struttura investe direttamente il piano del contenuto, luogo d’ordine di sei immagini privilegiate.
Nell’analizzare pertanto le sestine di Arnaut, Dante e Petrarca dalla cui progressione è poi sortito il genere (e nell’affrontare di poi la storia del genere), pur accordando un esplicito privilegio al significato delle parole-rima (sempre troppo appariscente), si è tentato in questo studio di ricondurre l’incastro esagonale dei vocaboli desinenti non solo alle oscillazioni tropiche ma soprattutto a quelle sintattiche, alle quali (più che a ogni altro espediente) si deve il meccanismo cui soggiace questa forma.
Lo studio della sestina può allora valere come banco di prova privilegiato per un’analisi approfondita di quell’intreccio fra metro e sintassi che, per restare stretti alla stoffa dei dati tangibili, varrebbe la pena di frequentare più assiduamente nello studio delle forme della poesia.